Sono trascorsi più di quattro anni dal 23 giugno 2016, il giorno in cui l’esito del referendum popolare, smentendo le previsioni di molti analisti, ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea minando le certezze di gran parte dell’opinione pubblica.
Mai, sino a quel momento, uno Stato membro si era avvalso della facoltà prevista dall’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea, che prevede la possibilità di ritiro conformemente alle sue norme costituzionali. Il fatto che tale decisione fosse stata presa dal Regno Unito, che oltre ad essere elemento imprescindibile nell’idea di Europa unita, rappresenta uno dei paesi con le più antiche relazioni commerciali ed i più intensi scambi culturali con il resto del mondo ed in particolare con l’Italia, ha generato dubbi e stupore, successivamente cresciuti quando è diventato chiaro a tutti che il periodo previsto dal Trattato per definire le modalità di uscita dall’Unione rischiava di trascorrere invano.
Le cronache degli anni successivi al referendum hanno riportato le contrapposizioni politiche interne, che non hanno permesso di ratificare l’accordo di uscita dalla UE del Regno Unito mettendo ripetutamente in minoranza i Premier Theresa May e Boris Johnson e rendendo sempre più concreta la possibilità, considerata incredibile sino ad allora, di una Hard Brexit ossia l’uscita dall’Unione Europea senza nessun accordo, con il conseguente inquadramento del Regno Unito fra i Paesi extracomunitari le cui merci devono essere assoggettate a dazi e divieti economici in fase di importazione ed i cui cittadini devono essere sottoposti a controlli ed adempimenti previsti per i Soggetti extracomunitari provenienti da Paesi con i quali la UE non ha sottoscritto accordi bilaterali.
L’incertezza è stato il filo conduttore che ha scandito le varie fasi del percorso di distacco del Regno Unito dall’Unione Europea . Un’incertezza che ha bloccato ogni tentativo di pianificazione e non ha permesso, di fatto, l’avvio di un vero programma di riorganizzazione dei modelli commerciali ed operativi consolidati nel passato, con particolare ed ovvio riferimento alle attività logistiche e doganali che sono coinvolte pesantemente nei cambiamenti post Brexit.
Negli anni scorsi si era fatta strada, all’interno dell’opinione pubblica mondiale, l’idea che gli esiti del 2016 non rispecchiassero la reale opinione della maggioranza dei sudditi di Sua Maestà e che un nuovo referendum avrebbe rimesso le cose a posto ed evitato sconvolgimenti epocali nelle relazioni consolidate tra i Paesi europei. Ulteriore sorpresa quindi ha destato il risultato della consultazione popolare che, alla fine del 2019, ha confermato l’uscita del Regno Unito dalla UE e che ha reso inevitabili i successivi passaggi di ratifica della separazione e l’inizio del periodo di transizione con l’avvio del tavolo di trattativa che, sin dai primi momenti, ha evidenziato le profonde divergenze tra i negoziatori delle due parti, confermando ed amplificando le incertezze che hanno segnato l’intero percorso.
Sin dal primo momento, da parte UK, è stata evidenziata l’intransigenza del primo Ministro Boris Johnson, che ha escluso a priori la possibilità di prorogare il periodo di transizione, posticipando di fatto l’avvio della Brexit e venendo meno al patto elettorale con i suoi sostenitori e, da parte UE, le perplessità dei negoziatori che mai prima di allora avevano concluso un accordo di libero scambio in un tempo così ridotto, di fatto meno di un anno.
Le interruzioni dei negoziati dovute al COVID, che hanno costretto i Rappresentanti al tavolo a sospendere gli incontri, utilizzando la modalità meno efficace della videoconferenza, oltre alle posizioni apparse da subito inconciliabili, sulla pesca nelle acque britanniche, sulla tutela della equa concorrenza e sulla governance riferita alle controversie tra le parti, hanno, giorno dopo giorno, reso sempre più complesso il raggiungimento di un accordo, che è stato concluso solo poche ore prima della scadenza dei termini previsti dalle normative unionali .
Il fatto che nonostante sia stata superata la scadenza della fine di ottobre, termine inizialmente previsto per la stipula dell’accordo di libero scambio, le trattative, di proroga in proroga, siano proseguite ad oltranza, è stata la conferma della volontà politica di entrambe le parti finalizzata ad evitare sino all’ultimo una Hard Brexit.
L’accordo prenatalizio raggiunto, che non ha precedenti visto il totale azzeramento dei dazi e delle quote di importazione, ha sicuramente incontrato i favori dell’opinione pubblica internazionale rinnovando, nel contempo, i dubbi e le incertezze rispetto agli enormi impatti che la Brexit, anche con l’accordo, avrà rispetto all’organizzazione logistica relativa agli scambi tra UE e Regno Unito. Inoltre il fatto che questa fase di riorganizzazione dei processi avvenga nel mezzo della più grave pandemia degli ultimi cento anni aumenta a dismisura le preoccupazioni per un futuro che, ad oggi, presenta troppe questioni ancora irrisolte.
Da una parte quindi il compiacimento per l’accordo raggiunto, accolto con particolare soddisfazione dall’Italia che non vedrà penalizzate da alti dazi le sue esportazioni, dall’altra criticità e preoccupazioni per gli scenari che dovranno essere gestiti dall’inizio del 2021 e che inevitabilmente coinvolgeranno anche il nostro Paese ed i suoi flussi logistici, resi ancora più complessi dalle intense relazioni commerciali con il Regno Unito.
Analizzando i dati nazionali emerge, infatti, che il traffico aereo dei passeggeri in arrivo in Italia dal Regno Unito è imponente, negli ultimi anni sono stati in media oltre 12 milioni i passeggeri provenienti dal Regno Unito e transitati negli aeroporti italiani a fronte di un totale di circa 25 milioni di viaggiatori extracomunitari. Nel post Brexit saremmo, quindi, di fronte ad un incremento superiore al 45% del traffico extra UE che rischia di mettere a dura prova le procedure di controllo nazionali. Fatta eccezione per gli scali di Malpensa e Fiumicino, che dovrebbero registrare un aumento ipotetico di circa il 20% dei passeggeri extracomunitari, gli altri scali nazionali saranno chiamati a gestire incrementi compresi tra il 50% ed il 200%.
Importanti anche gli impatti relativi al traffico delle merci, il Regno Unito rappresenta per l’export Italiano il quinto Paese di destinazione al mondo, per un valore annuo che negli ultimi anni è stato superiore ai 25 miliardi di euro, ed il decimo per quanto riguarda le importazioni con un valore di circa 14,5 miliardi di euro.
Le transazioni commerciali, che, diventeranno altrettante operazioni doganali, comporteranno l’incremento del 15% in export e del 20% circa in import del numero di dichiarazioni presentate agli Uffici doganali nazionali. Il dato evidenzia un chiaro rischio di tenuta degli attuali sistemi di controllo che, come noto, in Italia coinvolgono non solo l’Agenzia delle dogane, che vanta un sistema informatico di analisi dei rischi estremamente avanzato e da tempo sta lavorando per minimizzare i prevedibili impatti, ma anche gli Enti che effettuano controlli ai confini di diversa natura con particolare riferimento alle Autorità sanitarie già oggi in difficoltà nei punti in cui maggiore è il flusso delle merci.
Le problematiche legate all’uscita del Regno Unito dalla UE non sono, per l’Italia, limitate all’incremento esponenziale dei flussi ma sono più ampie e diffuse per una serie di fattori, primo fra tutti il fatto che circa il 42% delle Aziende nazionali che gestiscono rapporti commerciali con il Regno Unito non hanno conoscenze legate alle normative ed agli adempimenti di importazione ed esportazione. Secondo i dati forniti dall’Agenzia delle dogane, che ha individuato preventivamente questi Operatori economici per censirli e fornire loro il codice identificativo EORI, sono oltre 28500 i Soggetti che spediscono o ricevono merci dal Regno Unito.
La mancanza di conoscenze delle normative doganali rischia di creare grandi difficoltà nella gestione di numerosi traffici che, per loro natura, richiedono operazioni particolari, basti pensare a tutta la componentistica che viene trasferita dall’Italia al Regno Unito e successivamente viene reimportata nel nostro Paese dopo aver subito lavorazioni o montaggi. Queste spedizioni, che sino ad oggi hanno potuto circolare senza vincoli, in futuro dovranno obbligatoriamente essere gestite con procedure di temporanea esportazione o importazione, rese estremamente lunghe e complicate dalla recente introduzione a livello comunitario del sistema delle “customs decisions” che ha dilatato i tempi di rilascio delle autorizzazioni doganali, in alcuni casi, sino 60 o 90 giorni. E’ questo un aspetto particolarmente delicato in quanto all’interno della UE la maggior parte dei Paesi non ha ancora aderito al sistema delle “customs decisions” che, anche nei casi in cui sono state introdotte, non sono state rese obbligatorie. La possibilità che le procedure autorizzative, che permettono alle merci di essere temporaneamente importate ed esportate, siano gestite con tempi molto diversi da un paese all’altro potrebbe rappresentare un elemento distorsivo, rispetto al normale flusso dei traffici, con conseguenze negative, per i Paesi con tempi di gestione più lunghi come l’Italia, non solo sulle imprese di trasporto e spedizione ma su tutto il sistema produttivo e industriale nazionale.
Anche nel Regno Unito, come in Italia, molte Aziende che effettuano scambi commerciali con Soggetti comunitari non hanno mai gestito operazioni di importazione o esportazione verso paesi extra UE. La poca dimestichezza con le attività doganali da parte degli Operatori economici del Regno Unito potrebbe avere ripercussioni anche sugli esportatori del nostro Paese. Sempre più frequentemente, infatti, i destinatari delle merci nel Regno Unito rifiutano di farsi carico sia degli adempimenti doganali che delle responsabilità e delle garanzie richieste dalle Autorità doganali UK al Soggetto che riveste il ruolo di “Importer of records”, costringendo gli Esportatori Italiani ad assumere questo ruolo attivando Stabili organizzazioni o Rappresentanze fiscali nel Regno Unito.
Analizzando in maniera più approfondita la questione Brexit, è importante separare la problematica legata all’accordo tra Regno Unito e Unione Europea da quella relativa alla riorganizzazione dei flussi logistici. L’accordo tra Regno Unito e Unione europea, infatti, permetterà l’abbattimento, dei dazi e conseguentemente non penalizzerà dal punto di vista economico le merci oggetto di scambio, non avrà, nel contempo, particolari riflessi sulle attività logistiche perché, indipendentemente dall’applicazione o meno dei dazi sulle merci, l’uscita del Regno Unito dalla UE crea un confine che non esisteva più tra i due territori e rende obbligatorie le attività doganali che normalmente si svolgono presso i punti di frontiera.
Per questo motivo da mesi si sta lavorando per strutturare il sistema logistico e doganale dei due Paesi, studiando le migliori soluzioni per far fronte alle nuove necessità, legate ai controlli fiscali e di sicurezza, in maniera da evitare colli di bottiglia, soprattutto nel punto che è stato ridefinito “il confine della Brexit” tra Calais e Dover. L’adesione del Regno Unito al Sistema del transito, il divieto quasi totale di effettuare operazioni di import ed export presso le Dogane di entrata ed uscita dall’Eurotunnel, dove la quasi totalità operazioni doganali saranno relative al transito quindi molto più spedite, la creazione di aree cosiddette di “pit stop” diversi chilometri prima del confine, dove verranno dirottati i camion per i controlli e le eventuali operazioni di verifica in modo da non intasare il valico di frontiera, sono soluzioni predisposte per limitare gli impatti del post Brexit, impatti che, da quanto si sta rilevando in questi giorni con code di chilometri in prossimità dell’Eurotunnel, rischiano di essere superiori a quanto preventivato.
Anche le procedure doganali nel Regno Unito, soprattutto nei primi mesi del 2021, saranno notevolmente semplificate per permettere agli Operatori economici di adeguarsi ai nuovi modelli operativi ed ai relativi adempimenti fiscali. Sino ad aprile saranno sospesi i controlli extradoganali e sanitari mentre sino a luglio non sarà necessario, salvo merci particolari, presentare le dichiarazioni di importazione per ogni singola spedizione in quanto i diritti doganali verranno versati periodicamente su autodichiarazione da parte delle Aziende.
Le strutture doganali del Regno Unito, infatti, sia per quanto riguarda la parte privata che pubblica, destano molte preoccupazioni. Attualmente i Paesi del Regno Unito gestiscono circa 50 milioni di operazioni doganali all’anno, un numero enorme se paragonato ai volumi Italiani dove ne vengono gestite meno della metà, un flusso imponente influenzato anche dal fatto che il Regno Unito è la terza piattaforma e-commerce mondiale. Le Autorità doganali UK stimano che nel post Brexit il numero di operazioni doganali potrebbe arrivare a 200 milioni, incluso circa 20 milioni di operazioni previste per il protocollo Irlandese, mettendo a dura prova le aziende che gestiscono le attività doganali che da una recente indagine risultano, nel 63% dei casi, impreparate rispetto ai nuovi scenari. Si valuta che le strutture doganali del Regno Unito necessitino di circa 50.000 addetti in più rispetto alle piante organiche attuali e a questo proposito è stato avviato un programma di finanziamenti, rivolto ai fornitori di servizi legati alle spedizioni internazionali, per progetti finalizzati alla formazione di figure specializzate in materia doganale.
Anche in ambito nazionale è stato svolto un intenso lavoro, sia da parte dei Soggetti pubblici che di quelli privati. Numerosi sono stati gli incontri ed i tavoli di lavoro per valutare gli impatti e progettare un sistema di semplificazioni, nel rispetto delle normative Unionali, che tenga conto degli aspetti fiscali e di sicurezza garantendo la fluidità dei traffici. Purtroppo le criticità sopra esposte unite a dubbi e incertezze che i ridottissimi tempi di applicazione dell’accordo generano, potrebbero rendere insufficienti gli sforzi sino ad oggi profusi e dall’inizio del prossimo anno le Aziende Italiane, così come quelle di tutta Europa, potrebbero incontrare grosse difficoltà nella gestione doganale e logistica degli scambi con il Regno Unito di fronte ad una svolta epocale senza precedenti nel mondo globalizzato.
Una situazione estremamente complessa, in cui è necessario per gli Operatori economici nazionali avere punti di riferimento certi e in questo senso Doganalisti e Centri di Assistenza Doganale sono chiamati a dare il loro supporto professionale sia nei confronti delle Aziende, indirizzandole verso le procedure più corrette per limitare al massimo gli impatti generati dalle nuove procedure di interscambio commerciale, che nei confronti delle Autorità doganali e di controllo che da sempre possono contare sulle attività che i Professionisti in ambito doganale svolgono in tema di formazione, consulenza e divulgazione in riferimento alle possibili semplificazioni che le normative mettono a disposizione delle Imprese. In sintesi, come già avvenuto in passato, i Doganalisti e i Centri di Assistenza doganale sono nuovamente chiamati a riaffermare il ruolo di anello di congiunzione tra il mondo delle imprese e l’Autorità doganale, in modo da supportare l’efficientamento del sistema degli scambi commerciali internazionali nello scenario pieno di dubbi e incognite del post Brexit.
Bruno Pisano
Presidente ASSOCAD
Associazione Nazionale CENTRI ASSISTENZA DOGANALE